L'aspetto che più apprezzo di questa seconda uscita polacca lo rintraccio senza alcun dubbio nel coraggio di essersi messi in gioco, senza aver attinto in alcun modo a degli schemi preesistenti.
C'è molto di familiare in Assassins of Kings, ma altrettanto di inedito e/o rielaborato, si potrebbe quasi parlare di una ripartenza ex-novo per il Lupo Bianco. Come però accade ogni volta che si percorrono nuove vie è difficile avere la percezione precisa di ciò che si sta facendo, se insomma si sta puntando la prua nella direzione corretta, o direttamente dentro un gorgo. Ha fatto bene, benissimo CD Projekt RED dunque a non adagiarsi sugli allori, e di questo gliene sono arci-grato, dove però ha compiuto una leggerezza è nell'aver sopravvalutato la propria capacità di auto-giudizio. A tal proposito mi viene in aiuto il Richard Cobbett letto qui.
Qual è il concetto di fondo espresso dal buon vecchio redattore di PC Gamer? Dopo tre, quattro anni passati sopra quella quest, quello script, quell'animazione è chiaro che a te paiano creazioni divine, esenti da qualsiasi difetto, ma varrà lo stesso per tutti gli altri, che il tuo lavoro proprio-proprio non lo conoscono? Ecco che incredibilmente spuntano, in tutta la loro perniciosità, prologhi ed epiloghi che per tasso di difficoltà paiono essersi scambiati diabolicamente di posto, cataste di esche e mutageni senza arte né parte, sistemi di combattimento che rappresentano per il giocatore non più uno strumento da padroneggiare, bensì una primaria fonte d'intralcio, ancor prima che Endriaghe, Nekker e compagnia assortita entrino a far parte dell' 'equazione ludica'. Ouch.
Da questo versante c'è poco da giustificare: lungi da me la pretesa di un RPG bug-free, ma almeno sugli aspetti più macroscopici illustrati poc'anzi era d'obbligo una maggiore attenzione in fase di testing. Passi la prima volta (e tanto di cappello per l'operazione simpatia "Enhanced Edition"), ma la seconda... o sei un furbone, o uno scemo : D.
Detto questo, è innegabile che qualcosa da dire questi polacchi, in fondo, lo abbiano avuto eccome. Un messaggio costantemente netto, vigoroso, inizialmente urlato sopra le righe a pieni polmoni, commoventemente assordante; in seguito questi diviene più ragionato, udibile, in grado di instaurare un dialogo implicito, intimo con le personalità di ciascun astante e che -di mestiere- ripesca all'abilità oratoria dell'alta scuola ruolistica tradizionale. Poi, quando si crede di aver intuito dove il declamatore intenda andare a parare, ecco che Red spiazza: l'idea monolitica si frantuma, sfaccettandosi in mille schegge concettuali, da interpretare come più aggrada, ma senza per questo venir meno di coerenza rispetto al disegno generale. Memorabile (per chi gioca) ma forse... troppo faticoso (per chi crea)?
Forse, ma anche no. Di primo acchito parrebbe che i nostri, ad un certo punto, abbiano avuto il fiato corto, con le fila del discorso che vengono sì diligentemente riannodate (sfido chiunque a trovare un'incoerenza grossolana nel plot), senza però che sì giunga ad un coronamento da manuale, forte di quei guizzi caratteristici che strappano l'ovazione. Chi scrive non è molto d'accordo con questa scuola di pensiero, e crede invece che si tratti semplicemente di un commiato più stemperato, cerebrale, sofisticato.
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